TRIBUNALE DI VITERBO 
                     Il Giudice dell'Esecuzione 
 
    Ordinanza  di  rimessione  alla  Corte  costituzionale  ai  sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nel procedimento  R.E.
n. 996/2014 promosso da Banca  Suasa  Credito  Cooperativo  S.P.A.  -
creditrice procedente, contro Piersimoni Giuseppe debitore 
    Letti gli atti della procedura esecutiva di cui alla  epigrafe  -
sciogliendo la riserva presa alla udienza del 14 gennaio 2015 
        rilevato che il credito  di  Banca  Suasa  nei  confronti  di
Piersimoni Giuseppe, ammonta in base al precetto ad € 7.720,61, sulla
base del decreto ingiuntivo del Tribunale di Pesaro n. 188/14 r.g. n.
297/14 oltre le spese della procedura esecutiva; 
        rilevato che il terzo pignorato: Trasporti Depositi logistica
Europa S.r.l. in data 14 gennaio 15, ha reso  dichiarazione  positiva
del suo obbligo di corrispondere al debitore  uno  stipendio  mensile
che di € 299,00. 
        il debitore depositava memoria difensiva in cui deduceva  che
il suo stipendio e' nettamente al di sotto dei c.d. «minimo  vitale»,
dato che si attesta mediamente sui 275,00 euro al  mese,  e  chiedeva
dichiararsi la assoluta impignorabilita' dello stesso; 
        alla udienza  del  14  gennaio  2015  il  creditore  chiedeva
l'assegnazione nel limite di legge di 1/5 dello stipendio, 
        rilevato che deve  applicarsi  il  regime  di  pignorabilita'
degli stipendi ed altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro, 
        rilevato che in base all'art. 545 c.p.c. «Tali sonane possono
essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti  allo
Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro
credito», 
        ritenuto che si  debba  tenere  conto  dell'ulteriore  limite
imposto dall'art. 2, comma 2 e dall'art. 68, d.P.R. 5  gennaio  1950,
n. 180, per cui, in  caso  di  concorso  tra  cessioni  volontarie  e
successivi pignoramenti, la pignorabilita'  della  quota  residua  e'
soggetta al solo limite della meta' ivi stabilito, che non sempre  e'
idoneo a garantire un minimo vitale; 
        ritenuto che da tali disposizioni si ricava che lo  stipendio
e' pignorabile fino ad 1/5, e che un quinto dello  stipendio  ammonta
ad € 59,50 come dichiarato dal terzo  (datore  di  lavoro),  per  cui
resterebbero al debitore € 239,50 (€ 299,00 - 59,50 per  pignoramento
= 239,50) per la sua sopravvivenza  (non  risultando  agli  atti  che
abbia altre fonti di sostentamento). 
        rilevato che  nel  decreto-legge  n.  16/2012  (cd.  «decreto
Semplificazioni») convertito in legge n. 44/2012, l'art. 3, comma  5,
che ha aggiunto, nel d.P.R. n. 602/1973, in materia  di  pignoramento
presso terzi disposto dall'agente della  riscossione  per  i  tributi
dovuti allo Stato (in tema di pignoramenti Equitalia) l'art.  72-ter,
recante il titolo «Limiti di pignorabilita'», secondo il  quale:  «Le
somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre  indennita'
relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a
causa di licenziamento, possono essere  pignorate  dall'agente  della
riscossione: a) in misura pari ad 1/10 per importi  fino  a  2.500,00
euro; b) in misura pari ad 1/7 per importi  da  2.500,00  a  5.000,00
euro». «Resta ferma la misura  di  cui  all'articolo  545,  comma  4,
c.p.c., se le somme dovute a titolo di stipendio,  di  salario  o  di
altre indennita'  relative  al  rapporto  di  lavoro  o  di  impiego,
comprese  quelle  dovute  a  causa  di  licenziamento,   superano   i
cinquemila euro». 
        rilevato  che,  la  somma  di  €  239,50  che  resterebbe  al
debitore, dedotto un quinto del suo stipendio, appare al di sotto del
minimo indispensabile ad un essere umano che lavora per  sostentarsi,
tenuto conto anche del fatto che  quello  stesso  essere  umano,  per
produrre quel  reddito  deve  comunque  sostenere  delle  spese  (per
mangiare, vestirsi, recarsi sul luogo di lavoro  etc.),  per  cui  e'
impensabile che senza un reddito minimo il lavoratore possa  comunque
prestare la sua opera; 
        rilevato che, nella ipotesi di pignoramento  della  pensione,
la Corte costituzionale con la nota sentenza 4 dicembre 2002, n. 506,
in merito alla questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata
relativamente all'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n.
1827, art. 69  della  legge  30  aprile  1969,  n.  153,  afferma  la
pignorabilita' per ogni credito, nei  modi  e  nei  limiti  stabiliti
dall'art. 545 c.p.c., solo di quella parte della pensione che non sia
necessaria a garantire al  pensionato  i  «mezzi  adeguati  alle  sue
esigenze di vita», 
        rilevato che in relazione  alle  pensioni  la  soglia  minima
impignorabile non e' stata  definita  dal  legislatore  ma  e'  stata
individuata  dalla  giurisprudenza  che  ha  ritenuto  trattarsi   di
questione di  merito  rimessa  alla  valutazione  del  Giudice  della
esecuzione (cfr. Cass.  n.  6548/11  confermata  da  Cass.  III  civ.
18755/2013 «le  soluzioni  che  si  rifanno  alle  normative  la  cui
utilizzabilita' diretta era gia' stata esclusa dalla  sentenza  della
Corte costituzionale, ed in particolare  quella  che  si  rifa'  alla
pensione sociale, nonche' la soluzione che  applica  direttamente  il
trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38,  commi
1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art.  39,  comma  8,  presentano
margini di opinabilita', poiche' i relativi presupposti paiono  tutti
orientati esclusivamente alle specifiche  finalita'  previdenziali  o
assistenziali dei singoli istituti e non sono  suscettibili,  se  non
altro in via immediata, di  adeguata  generalizzazione:  sicche'  non
solo il trattamento minimo ... ma neppure  l'importo  della  pensione
sociale corrispondono necessariamente al minimo indispensabile per la
sussistenza in vita in condizioni dignitose. Il principio di  diritto
che si intende confermare allora non puo' che essere  quello  di  cui
alla sentenza  appena  citata,  per  il  quale  l'indagine  circa  la
sussistenza o  l'entita'  della  parte  di  pensione  necessaria  per
assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita,  e
come  tale  legittimamente  assoggettabile  al  regime  di   assoluta
impignorabilita' - con le sole eccezioni, tassativamente indicate, di
crediti  qualificati  e'  rimessa,  in  difetto  di  interventi   del
legislatore al  riguardo,  alla  valutazione  in  fatto  del  giudice
dell'esecuzione ed e' incensurabile in cassazione  se  logicamente  e
congruamente motivata.». 
    Rilevato che tale  limite,  costituente  garanzia  di  un  minimo
assolutamente impignorabile e' stato determinato dalla giurisprudenza
con riferimento prevalente ai parametri della pensione sociale o  del
trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38,  commi
1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art. 39, comma 8. 
    Rilevato  che  gli  importi  di  tali  trattamenti  pensionistici
(utilizzati come parametri costanti dalla  giurisprudenza  di  merito
per individuare la soglia del trattamento  pensionistico  minimo  non
pignorabile) sono entrambi ben  superiori  allo  stipendio  percepito
dalla debitrice, per una prestazione  lavorativa  che,  comunque,  la
impegna quotidianamente e che tale stipendio appare ai  limiti  della
mera sussistenza; 
        rilevato che il pensionato, essendo ritirato dal  lavoro  non
deve farsi carico  delle  spese  necessarie  a  produrre  il  proprio
reddito, mentre il lavoratore si presuppone  che  debba  recarsi  con
mezzi propri sul luogo di lavoro,  vestirsi  in  modo  adeguato  alla
funzione svolta, utilizzare energie anche fisiche che richiedono  una
alimentazione piu' ricca di chi e' a riposo, e quindi sostenere delle
spese indispensabili alla produzione di un reddito,  oltre  a  quelle
necessarie   per   la   mera   sopravvivenza   (nutrirsi,   coprirsi,
riscaldarsi, assicurarsi un alloggio etc.), 
        ritenuto che anche per il lavoratore debba essere individuato
un minimo vitale indispensabile e  non  pignorabile,  che  non  possa
essere distolto dalla funzione primaria del salario,  che  e'  quella
appunto di consentire la sopravvivenza  e  l'utilizzo  delle  proprie
capacita' lavorative a chi abbia come sola risorsa il proprio lavoro; 
        ritenuto che, se la retribuzione venisse ridotta al di  sotto
di quel minimo vitale  indispensabile  alla  sopravvivenza,  oltre  a
determinarsi effetti negativi per tutto il tessuto sociale (ad es. il
lavoratore sarebbe spinto ad orientarsi verso il mercato  del  lavoro
irregolare, non potrebbe far fronte ai propri obblighi nei  confronti
della famiglia, sarebbe spinto a  comportamenti  illegali  etc.),  ne
risulterebbe violato il precetto costituzionale di  cui  all'art.  36
Cost. che prevede che la retribuzione  debba  essere  «in  ogni  caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e dignitosa», oltre ai precetti di cui agli articoli 1, 2, 3, 4 Cost. 
        Rilevato che in detta sentenza 4 dicembre 2002,  n.  506,  la
Corte ha ritenuto di confermare il precedente orientamento  espresso,
secondo cui  aveva  sempre  respinto  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, in relazione all'art. 36 Cost., dell'art. 545, quarto
comma,  cod.  proc.  civ.,   nella   parte   in   cui   non   prevede
l'impignorabilita'  della  quota  di   retribuzione   necessaria   al
mantenimento del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del  1968;
sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974;  sentenza  n.  209
del 1975; ordinanza n. 12  del  1977;  ordinanza  n.  260  del  1987;
ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997), 
        che in tale sentenza si e' ritenuto che  l'art.  36  Cost.  -
indica  parametri  ai  quali   deve   conformarsi   l'entita'   della
retribuzione, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, senza  che
ne scaturisca, quindi, vincolo  alcuno  per  terzi  estranei  a  tale
rapporto,  oltre  quello  -  frutto  di  razionale   «contemperamento
dell'interesse del creditore con quello del debitore  che  percepisca
uno stipendio» (sentenze n. 20 del 1968 e 38 del 1970) -  del  limite
del  quinto   della   retribuzione   quale   possibile   oggetto   di
pignoramento. 
        che tale pronuncia nel riportarsi alle precedenti, si pone in
un contesto economico e sociale  nonche'  normativo  ben  diverso  da
quello attuale,  sia  per  quanto  riguarda  le  modifiche  normative
introdotte sul regime delle pensioni e dei contratti di  lavoro,  sia
per i mutamenti della giurisprudenza che sempre piu'  e'  andata  nel
senso di riconoscere identita' di  funzioni  alo  stipendio  ed  alla
pensione, sia per i dati  fattuali  relativi  alle  potenzialita'  di
lavorare e di produrre reddito a cui una persona puo' aspirare,  dato
che la nostra societa' sta attraversando una  crisi  economica  senza
precedenti, ritenuta da molti esperti  anche  peggiore  della  grande
crisi  del  1929,   situazione   che   determina   un   generalizzato
impoverimento dei lavoratori dovuto alla esiguita' degli stipendi, ai
mancati adeguamenti  alla  inflazione,  alla  perdita  di  potere  di
acquisto dei salari e degli stipendi in generale, etc. 
        che tali mutati fattori economici fanno si'  che,  anche  nel
caso di specie, in mancanza di prova contraria, si debba ritenere che
l'unico reddito su cui  il  debitore  possa  far  conto  per  la  sua
sopravvivenza sia quello modestissimo sottoposto a pignoramento. 
        che, nel tempo, la sostanziale identita'  di  funzione  della
pensione e della retribuzione o salario e' stata riconosciuta  sempre
piu' spesso dalla giurisprudenza,  anche  in  applicazione  di  norme
internazionali ed europee, per cui appare necessario un  ripensamento
del  complesso  contesto  normativo  nell'ambito  del  quale  si   e'
affermata la suddetta giurisprudenza, anche  alla  luce  della  nuova
normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari  dello  Stato
(decreto-legge n. 16/2012 cd. «decreto Semplificazioni» convertito in
legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto,  nel  d.P.R.  n.
602/1973 l'art. 72-ter, recante il titolo «Limiti di pignorabilita'»; 
        che nel contesto economico-sociale attuale, con i livelli  di
disoccupazione ormai raggiunti in Italia, con la crisi economica  che
si e' determinata negli ultimi anni,  le  retribuzioni  ed  i  salari
minimi (per  lavori  spesso  precari)  come  quello  percepito  dalla
debitrice sono gia' ai limiti della sussistenza  e  non  appare  piu'
frutto di un razionale «contemperamento dell'interesse del  creditore
con quello del debitore che percepisca uno stipendio»  consentire  il
pignoramento della retribuzione, seppure nel  limite  di  un  quinto,
destinata in  modo  essenziale  ed  imprescindibile  a  garantire  la
sopravvivenza fisica del lavoratore e la sua possibilita' di svolgere
le  sue  prestazioni  lavorative  sopportando  i  costi  necessari  a
produrre la sua forza lavoro. 
        che, in caso di applicazione  alla  fattispecie  oggetto  del
presente giudizio del limite indicato  dall'art.  72-ter,  d.P.R.  n.
602/1973, introdotto  con  decreto-legge  n.  16/2012  (cd.  «decreto
Semplificazioni») convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3,  comma  5,
essendo la somma dovuta a titolo di stipendio inferiore ad € 2.500,00
mensili, la stessa sarebbe pignorabile nel limite di un decimo e  non
di un quinto; 
        che lo stesso legislatore che e'  intervenuto  nella  materia
dei pignoramenti per crediti tributari ha avuto presente ed ha tenuto
in considerazione  l'attuale  congiuntura  economica  ed  il  diverso
contesto normativo. 
 
                               Osserva 
 
che sussistono seri dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art.
545, quarto comma c.p.c., nella parte in  cui  con  riferimento  alle
«somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario  o  altre
indennita' relative al rapporto  di  lavoro  o  di  impiego  comprese
quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel  secondo  comma,
prevede che: «Tali somme possono essere pignorate nella misura di  un
quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed  ai  comuni,
ed in eguale misura per ogni altro credito» e non prevede  invece  un
minimo impignorabile necessario  a  garantire  al  lavoratore  «mezzi
adeguati alle sue esigenze di vita», ed  una  retribuzione  «in  ogni
caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia  una  esistenza
libera e dignitosa» con particolare riferimento alle esigenze  di  un
reddito minimo che gli consenta di  sostenere  le  sue  spese  minime
necessarie al suo stesso sostentamento in vita ed  in  condizioni  di
vita adeguate a consentirgli la stessa produzione del reddito. 
    E, in subordine, che sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'
costituzionale dell'art. 545, quarto comma c.p.c., nella parte in cui
con riferimento alle «somme dovute dai privati a titolo di stipendio,
di salario o altre indennita' relative al rapporto  di  lavoro  o  di
impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel
secondo comma, prevede che:  «Tali  somme  possono  essere  pignorate
nella misura di un quinto per  i  tributi  dovuti  allo  Stato,  alle
province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito»  e
non prevede invece, conformemente a quanto previsto dal decreto-legge
n. 16/2012 cd.  «decreto  Semplificazioni»  convertito  in  legge  n.
44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel  d.P.R.  n.  602/1973
l'art. 72-ter, recante il titolo «Limiti di pignorabilita'»,  che  le
soglie di pignorabilita' siano le medesime di quelle  indicate  dalla
legge in materia di tributi e che quindi debbano  essere  graduate  a
seconda dell'ammontare della  retribuzione  come  indicato  dall'art.
72-ter, d.P.R. n. 602/1973 come recentemente modificato: a) in misura
pari ad 1/10 per importi fino a 2.500,00 euro; b) in misura  pari  ad
1/7 per importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro». «Resta ferma la  misura
di cui all'articolo 545, comma 4, c.p.c., se le somme dovute a titolo
di stipendio, di salario o di altre indennita' relative  al  rapporto
di  lavoro  o  di  impiego,  comprese  quelle  dovute  a   causa   di
licenziamento, superano i cinquemila euro». 
        detta disposizione si pone in contrasto con gli artt. 1, 2, 3
e 36, della Costituzione; 
        in relazione all'articolo 1 della  Carta  costituzionale  che
afferma che la Repubblica e' «fondata sul  lavoro»,  all'art.  2  che
riconosce e garantisce i diritti  inviolabili  dell'uomo  e  richiede
l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,
economica  e  sociale,  all'art.  3  che  sancisce  il  principio  di
eguaglianza formale e sostanziale ed il principio di  ragionevolezza,
all'art. 4 che riconosce e garantisce  il  diritto  al  lavoro  e  il
dovere di ogni cittadino di svolgere una  attivita'  o  funzione  che
concorra al progresso materiale e spirituale della societa', all'art.
36 che prevede che la retribuzione deve essere non  solo  commisurata
alla quantita' e qualita' del lavoro  prestato,  ma  anche  che  deve
essere «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia
una esistenza libera a dignitosa». 
    Al cittadino lavoratore deve essere garantito che il  frutto  del
suo lavoro, cioe' il suo stipendio o salario,  sia  destinato  almeno
nei  limiti  del  minimo  indispensabile,  al  soddisfacimento  delle
esigenze primarie di sopravvivenza sue e della famiglia, diversamente
ne risulterebbe violata sia la dignita' del  lavoro  come  fondamento
stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare
puo' diventare economicamente non conveniente), sia il diritto a  che
la retribuzione percepita sia «in ogni caso sufficiente ad assicurare
a se' ed alla famiglia una esistenza libera a dignitosa». 
    Il principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3)  risulta
violato  in  relazione  al  diverso  trattamento  che   riguarda   il
pensionato, il quale, non prestando piu' attivita' lavorativa  riceve
una tutela della propria pensione (che puo' essere vista  anche  come
una retribuzione differita) diversa e maggiore di quella  che  riceve
un lavoratore attivo, il quale ha ancora piu'  necessita'  di  vedere
tutelato un limite vitale di sopravvivenza  oltre  il  quale  il  suo
stipendio  non  puo'  essere  assoggettato   a   pignoramento.   Tale
differenza, avuto riguardo ai cambiamenti  intervenuti  nel  contesto
normativo, nella giurisprudenza, nel tessuto sociale, nella economia,
non appare piu' giustificata da alcun principio di ragionevolezza. 
    Il principio di uguaglianza risulta anche violato in relazione al
diverso trattamento che riceve il debitore a seconda del credito  per
cui si  procede.  Se  il  credito  e'  erariale,  paradossalmente  il
debitore risulta maggiormente tutelato, quando invece le  ragioni  di
interesse pubblico e di quadro normativo  di  riferimento  dovrebbero
giustificare,  al  contrario,  un  miglior  trattamento  dei  crediti
erariali rispetto a quelli comuni. 
    Questo remittente non ignora le precedenti pronunce  della  Corte
costituzionale ma ritiene che i profili sollevati in  motivazione  in
relazione  alla  prima  questione:  riguardante  la  impignorabilita'
assoluta di un minimo vitale dello stipendio, rivestano carattere  di
novita'; e' nuova  la  questione  relativa  al  diverso  e  deteriore
trattamento dei crediti erariali (regolati dall'art.  72-ter,  d.P.R.
n. 602/1973) rispetto ai crediti comuni, inoltre il quadro  normativo
e quello socio economico di riferimento, sono  talmente  cambiati  da
rivestire caratteri di novita' e differenza rispetto  alle  questioni
gia' sottoposte al vaglio della Corte. 
    La questione e' rilevante nel giudizio in  corso  ai  fini  della
decisione - adottabile anche  ex  officio  -  sulla  impignorabilita'
assoluta delle somme pignorate o sulla  quantificazione  dell'importo
che puo' essere assegnato alla creditrice (1/5 o 1/10). 
    Questo G.E. ha gia' rimesso «a Codesta  Corte  analoga  questione
relativa al procedimento n. 572/14 e nel procedimento n. 1340/14;